Dal Decamerone agli Accademici maccheronici, tutte le storie più curiose sul piatto simbolo dell’Italia nel mondo

Tutti amano la pasta, tutti parlano di pasta. Ci sono racconti, aneddoti e curiosità semisconosciute sull’eccellenza Made in Italy che hanno origini lontane nel tempo, quando maccheroni e vermicelli iniziavano a fare capolino nelle abitudini alimentari dei nostri antenati. E allora quale migliore occasione di un piatto di pasta in tavola per sfoggiare le nostre conoscenze in materia davanti ai nostri ospiti? Ecco cinque curiosità sulla pasta che ci portano a spasso nella storia.

Casanova e le Accademie Maccheroniche – Poemetti e filastrocche sui maccheroni abbuffandosi di pasta. Siamo a Chioggia, nel 1700, e Giacomo Casanova scopre le Accademie Maccheroniche, circoli di poeti e letterati che si riuniscono a tavola per dar sfoggio delle loro abilità culturali. Queste sfide tra intellettuali non potevano che culminare davanti a succulenti piatti di maccheroni.

La pasta nel Decameron – Dici pasta e pensi a ozio e abbondanza. Lo sapeva bene Boccaccio già nel XIV secolo quando parla di pasta in una delle sue novelle ambientate “in una contrada che si chiamava Bengodi, nella quale si legano le vigne con le salsicce e avevasi un’oca a denaio e un papero giunta. Et eravi una montagna tutta di formaggio parmigiano grattugiato, sopra la quale stavan genti che niuna altra cosa facevan che far maccheroni e raviuoli e cuocergli in brodo di capponi, e poi gli gittavan quindi giù, e chi più ne pigliava più se n’aveva”.

Di tutte di più – Costanzo Felici è stato un botanico e naturalista italiano, vissuto nelle attuali Marche durante il Rinascimento, nel 1500. Erbe e verdure non erano la sua unica passione: Felici era molto attratto dalla pasta, in particolare dai suoi tanti formati. In uno dei suoi scritti si legge: “sentirai nelle cucine vari e diversi nomi, cioè lassagna, lassagnola, tirata, macaroni o cavadoli tirati in varie forme, strenghe, tagliatelli, vermicelli, granetti e altri poiché fa parte di quei cibi a base di cereali che connotano contemporaneamente la sussistenza e il piacere”.

Il formaggio napoletano d’Egitto – Saltiamo tre secoli e arriviamo al 1800. La pasta è ormai alimento stabile della tradizione nostrana, lo scrittore e romanziere Carlo Tito Dalbono ne è completamente affascinato, tanto da dedicarci alcune righe nei suoi racconti sulle tradizioni popolari. Dalbono è particolarmente attratto dalle taverne di Napoli, le cui tavolate sono affollate dal piatto clou per antonomasia, i maccheroni. «Le consuetudini delle ricche mense han dato a questo cibo svariati condimenti, ma il napolitano li mangia spesso col semplice formaggio bianco. Però di lato alla ampia fumante calda maccaronense è un ampio piattobianco, bacino o scafarea di bianco formaggio, nuova piramide d’Egitto, ornata dalla punta alla base di strisce nere fatte col pepe e sul culmine della quale spesso è posato un pomodoro o, in mancanza di questo, un fiore rosso».

God save pasta – Restiamo nel diciannovesimo secolo e ci spostiamo solo di qualche chilometro. Un giornalista di Londra viene inviato dal suo giornale, il Penny Magazine, a Gragnano per realizzare un reportage sugli stabilimenti di pasta. Il cronista inglese resta sbalordito di fronte al lavoro umano che c’è dietro la produzione della pasta: «Uno o più uomini o ragazzi siedono all’estremità del trave e imprimono alla leva il necessario moro alternativo, ora scendono col loro peso ora risalendo puntano i piedi sul terreno. In realtà non fanno altro che giocare all’altalena. Agli occhi dello straniero l’effetto prodotto da una grande fabbrica dove sono a lavoro parecchie di queste macchine e un buon numero di individui robusti, che saltano su e giù, ha in sé qualcosa di veramente comico».

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